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Critica e trattatistica del barocco. Tesauro e la critica barocca. Madame reali fra i Savoia. Alessandro Tassoni

Critica e trattatistica del barocco

Tesauro e la critica barocca

Emanuele Tesauro


Emanuele Tesauro 


Il Cannocchiale Aristotelico

Nobile piemontese, ex gesuita, Emanuele Tesauro visse alla corte di Torino, in forte rapporto con la nobiltà brillante e rissosa del Seicento. 

Non tutta la trattatistica teorica sull'acuteza a metà Seicento muove dalle esigenze moderate che condizionano le regole del Peregrini e del Pallavicino. 
Il più celebre trattato sul concettismo, Il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro, se ha in comune con i moderati l'impegno di regolamentazione del nuovo stile, non ne condivide la risentita polemica contro le esagerazioni, è animata anzi da un vibrante entuusiasmo per il meraviglioso potere della argutezza. 

Gran madre d'ogni ingegnoso concetto,
chiarissimo lume dell'oratoria e poetica 
elocuzione, spirito vitale delle morte
pagine, piacevolissimo condimento della
civile conversazione, ultimo sforzo dell'intelletto, 
vestigio della divinità nell'animo umano.

e, lungi dalle riserve nei riguardi del Marino delle Vindicationes Societatis Jesu, elogia con molta convinzione questo poeta attraversomuna formula che con la sua insistenza sulla consapevolezza delle scelte linguuistiche e stilistiche dell'autore dell'Adone sembra porsi all'estremo opposto del rimprovero pallaviciniano per la mancanza di ingegno filosofico.
L'eestremismo barocoo del Tesauto ha caratteristiche diverse da quello del primo Seicento; proprio laa lode sopraricordata alle novità linguistiche mariniane, autorizzate ad un attento vaglio delle ragioni che giustificano ogni <<paroluzza>>, lo mostra bene nella sua notevole diversità dall'apologia dell'Aleandri. 
Il contatto e lo stacco insieme del Tesauro dalle posizioni del barocco di primo Seicento può essere simboleggiato del resto dalla sua stessa esperienza biogarfica. Nobile piemontese, ex gesuita, Emanuele Tesauro ha vissuto la massima parte della sua lunnga vita nella corte di Torino, celebrandone con le sue orazioni i fasti ed i lutti, organizzandovi feste accademiche, componendovi imprese, mescolandosi appassionatamente alle lotte, agli intrighi, si è trovato cioè, più diquanto possa essere stato un pio prelato romano ccome Pallavicino, in forte rapporto con la vita brillnte e rissosa della nobiltà secentesca, di cui è stato spesso il consulente; e perciò di lui meno critico nei riguardi degli aspetti mondani e frivoli del nuovo stile.  
In questa vita di corte egli non è stato però uno spegiudicato avventuriero come il Marino, ma ha svolo il ruolo di un vero uomo politico, operante ennl'ambito soltanto dello stato cui per nascita apparteneva e, in quell'ambito, fedele sempre ad una particolare fazione, quella dei principisti, seguendo sì le evoluzioni del suo protettore, Tommaso di Catignano, ricnonciliatosi come lui quindi con Madonna Reale, diventatone addirittura panegirista, eppure sempre impegnato, a giustificare le ragioni del suo partito nella guerra civile con un'abile polemica, attenta a trovare in quella ribellione una piattaforma politica seria sia pure accanto ad altre di puntiglio avvocatesco tipicamente secentistico. E' stato in grado di vivere alcuune tiiche esperienze del mondo barocco, di anarchia rissosa e di disinvolto adattamento ai compromessi, con una dignità eccezionale ed è stato educato perciò dalla sua stessa vicenda umana a ricercare entro l'estro e il fasto secentistico la più nota più dignitosa e raffinata. 
Anche la lunga genesi delle sue idee sul concettismo conferma questa sua singolare situazione. Emanuele Tesauro cominciò molto presto a meditare sullo stile e sulla poesia, anticipando alcune idee che riprenderà nell'opera della sua piena maturità, in un contesto di gusto un poco diverso però. Negli scritti giovanili il Tesauuro aderisce sì sostanzialmente alla sensibilità marinistica e del Marino è anzi esplicito ammiratore, ma è aperto anche a preo
ccupazioni moderate, di una buona appliczione dei vari tipi di eloquenza (nel discorso il Giudicio del 1625) e addirittura (nella Gigantomachia del 1619) è critico, anche se fosse solo per un mero ossequio ai temi moralistici circolanti nella Compagnai di Gesù in cui allora egli militava, ed evidentissimi per esempio nella polemica del Padre Famiano Strada. verso la poesia moderna troppo lasciva: egli rimpiange, proprio come il Campanella e come il Villani, gli antichissimi tempi in cui i poeti attraverso i miti davano un misterioso insegnamento. 
La protesta contro le <<lascive modulazioni>> dei moderni nnon passerà nel Cannocchiale aristotelico che, in molte sue pagine, nel suo stesso disegno generale, nell'azione che svolge sui contemporanei, è una convinta apologia del gusto secentistico. Tuttavia le esperienze giovanili, l'eco delle contemporanee discussioni barocco-moderate che è quasi impossibile che il Tesauro ignorasse, la predilezione alla dignità e alla raffinatezza della sua stessa sensibilità d'uomo darnanno a questa apologia una direzione tutta originale e faranno sì che egli leghi al concettismo nuovi e più complessi significati. 
Per il Tesauro la superiorità ddell'argutezza, trova la sua suprema giustificazione nel potere quasi divino che essa sembra attribuire agli uomini:

ma non solamente per virtù di questa diventa Dio,
il parlar degl'uomini ingegnosi tanto si differenzia
da quel dè Plebei quanto il parlat degli angeli 
da quel degli uomini: ma per miracolo di lei, 
le cose mutoole parlano, le insensate vivono, le morte risorgono, le tombe, i marmi, le statue da
questa incantatrice degli uomini ricevendo voce, 
spirito, movimento, cogli uomini ingegnosi ingegnamente discorrono. Insomma tanto solamente è morto quanto all'argutezza non è 
arrivato.

Dio stesso di essa si vale <<motteggiando gli uomini e gli angeli, con vari motti e simboli figurati, gli altissimi suoi concetti>>. E la forza animatrice dell'arguzia è legata, <<acciocché la verità per sé amava co'l vario condimento di concettosi pensieri si raddolcisca>>, più personale del Tesauro di aristocraticità, di linguaggio diverso da quello del vulgo: 

acciocché l'ottusa e temeraria turba non si presuma interprete dè divini concetti ma solo
i più felici e acuti ingegni, consapevoli dè celesti 
secreti, ci sappiano dalla buccia della lettera 
snocciolare i misteri scosi e con subalternate 
influenze, il Nume impari da sé solo, il 
savio dal Nume, l'idioto dal savio;

sicché nel rifiuto della ricerca barocca d'un vasto successo presso il pubblico è chiaro un altro elemento caratteristico della civiltà secentesca: la visione gerarchica delle <<subalternate influenze>>. Il carattere divino dell'arguzia ha poi anche un più profondo fondamento: essa è divina, perché ha in qualche modo un potere simile al potere creatore di Dio: 
sì come Dio di quel che non è produce quel che
è, così l'ingegno di un non ente, fa ente, fa che il leone diventa un uomo e l'aquila una città, innesta una femina sopra un pesce e fabbrica una
sirena per simbolo dell'adulatore. 

In tal maniera distinguere la poesia dalla verità non può più significare come per il Pallavicino un filosofare verso di essa bassamente. La <<cavillazione urbana>> che è propria dell'arguzia è da distinguersi dalla cavillazione dialettica; questa <<ha per fine di corrompere quasi prestigiosamente l'intendimento dei disputanti con la falsità>>, la cavillazione urbana invece <<hha per iscopo il rallegrar l'animo degli uditori con la piacevolezza senza ingombro del vero>>. Nella metafora c'è non soltanto unaa capacità di fondere insieme più immagini, di <<inzeppare>> più cose in una sola parola in <<un istraforo di prospettiva>> che <<fa travedere molto obietti l'un dentro l'altro>>, ma v'è anche la possibilità di far <<trasparire il vero come per un velo, acciocché da quel che si dice velocemente tu intenda quel che si tace; e in quell'imparmento veloce è posta la vera essenza della metafora>>. 
Lo stesso piacere del rendersi conto del meccanismo fallace e ingegnoso nascosto dietro il concetto si presenta nel Tesauro in una accezione più raffinata della rutilante meraviglia del primo barocco, in distacco non solo dall'ebbrezza dell'Alelandri ma anche in certi temi cari ai classicisti. E' un diletto più delicato dello <<stupore>> secentistico: l'ingegno nel riconoscere l'opera sia nelle <<acutezze gravi>> che <<nelle dotte conversazioni son le facezie migliori>> ha un <<soave riso>> placido e sereno come quando veggiamo un caro amico o un bellissimo volto o una perfetta pittura o un'amena prospettiva o un mirabile e improvviso cangiamento di scena>>. Il far pompa di ingegno appare anche come un raffinato esercizio per stimolare quel riconoscimento e quel soave riso. Aotto questo punto di vista la <<facetudine>>non è più un semplice piacere ma una virtù morale che ammministra la piacevolezza al servizio degli uomini, è <<un'onesta letizia che rastaura l'animo lasso dalle sue preoccupazioni>>. 
La preoccupazione moderata di distinzione tra arguzie giuste e arguzie illegittime, non riguarda più la gratuità del gioco concettoso, bensì riguarda direttamente la morale, quando la <<letizia>> non è più <<onesta>>, quando si è scurrili, o quando si ricerca l'arguzia per guadagno, oo anche quando essa <<per dilettar gli uni offende gli altri>>. La raffinatezza del concettismo del Tesauro ha così un carattere tutto conservatore: la carica di spregiudicatezza che in altro barocco sembra a volte dare un compito dimistificante al nuovo stile è scomparsa: nel gusto di civil conversazione del Tesauro gli <<scherzi mordaci>> vanno banditi: <<han più del ferino che dell'umano>>. 
Lo stesso tema della <<svogliatezza>> del gusto contemporaneo, nel Cannocchiale aristotelico si presenta in una accezione un poco diversa. Se il Tesauro riconosce i meriti di raffinatezza dei contemporanei, tende però ad attribuire la costante ricerca di sempre nuovi ornamenti a una eterna tendenza dell'animo umano: sempre l'uomo prova <<nausea delle cose cotidiane>>, quando <<l'utilità con la varietà, con il piacere non va congiunta>>. 
Questo allargamento porta di più saldo e convinto nel concettismo del Tesauro. Con lui la visione barocca della vita giunge al culmine, non si piega più in una particolare situazione storica ma assorbe tutte le età. Ed è qui proprio che sta la ragion prima del più ricco speculare del Tesauro. L'argutezza propria dell'uomo di sempre occupa sempre di più il posto della poesia e, acquista anche un valore più complesso, come la poesia ha valore creativo, come la poesia svolge una funzione morale, di ristoro con un <<soave riso>> degli uomini, come la poesia ha un compito civilizzatore sia pur nella direzione minore della piacevolezza della civil conversazione a cui induce anche gl uomini più selvaggi. 
E' chiaro nello stesso tempo che nell'attenuarsi di quella risentita attenzione all'eccezionalità della età persente, che era stata il motivo unificatore ditanta critica secentesca, è andato perduto. 
Il raffinato e perfezionatissimo barocco del Tesauro, è ricerca di un ordine nel nuovo anche se su posizioni più avanzate di quelle dei barocchi moderati, e, nonostante la consapevolezza della novità della sua indagine, lungi dallo scandire il distacco con la tradizione, cerca di annullarlo interpretando in chiave concettistica tanta letteratura del passato cercando le autorità che giustifichino il presente. Persino il titolo del suo fortunaato trattato testimonia la posizione non rivoluzionaria della sua apologia del concetto: egli sceglie sì una metafora <<moderna>>, la metafora tra il più <<ingegnoso>> tra i ritrovati della tecnica contemporanea, il cannocchiale, ma il suo cannocchiale sarà, a diversità di quello galileiano, Cannocchiale aristotelico che la maggiore capacità di vedere che egli a sé rivendica, dipende da un più attento uso degli insegnamenti aristotelici e non da un libero filosofare. Il Tesauro è all'estremità opposta del Tassoni.  Là la polemica antirinascimentale coincideva, a prezzo di molte confusioni, con la polemica contro il vecchio dogmatico sapere. Qui l'esaltazione del gusto che al rinascimentale è succeduto pòuò svolgersi in tutta la sua ricchezza entro posizioni altrimenti conservatrici. 

Madame reali fra i Savoia


Cristina di Francia. Duchessa di Savoia


Maria Giovanna Battista-Nemours di Savoia.


Cristina di Francia, duchessa di Savoia (Parigi 1606-Torino 1663) passa alla storia come Madama reale. Figlia dii Enrico III e sorella di Luigi XIII, sposa Vittorio Amedeo I  (Torino 1587-Vercelli 1637). Questi, alla morte del padre  Carlo Emanuele I nel 1630, durante la seconda guerra del Monferrato, è costretto ad accettare il trattato di Cherasco (1631), lasciando ai Gonzaga-Nevers il posesso di Mantova e del Monferrato e alla Francia quello di Pinerolo.  L'alleanza con la Francia, è riicucita con la lega di Rivli nel 1635. Morto il marito nel 1637, Cristina di Francia assume la reggenza per i figli Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II. 
La sua politica di amicizia con la Francia provoca il malcontento dei cognatim il cardinale Maurizio di Savoia e il principe Tommaso, che scatenano una guerra civile per ottenere il controllo dello stato. Lo scontro tra madamisti filofrancesi e princpisti filospagnoli continua fino al 1640, quando, la Madama reale ristabilisce la pace. Il conflitto, indebolisce il ducato poiché facilita l'ingerenza della Francia e della Spagna nella vita politica interna. Salito al trono il figlio Carlo Emanuele II (Torino 1634-1675), Cristina conserva di fatto l'autorità sovrana, fino alla morte nel 1663. Anche in questa fase storica il ducato sabaudo rimane legato alla Francia, e Carlo Emanuele II fallisce in ogni tentativo di reprimere i valdesi, di riprendere Ginevra e di conquistare Genova.  
Nel 1665 sposa in seconde nozze Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (1644-1724) che, alla morte del marito nel 1675, diviene reggente per Vittorio Amedeo II. 

Alessandro Tassoni


Alessandro Tassoni 


Poeta e letterato dal temperamento litigioso e polemico, Alessandro Tassoni (Modena 1565-1635) nasce da una famiglia nobile e si laurea in legge. Lavora, al servizio di molti potenti del tempo. Dal 1607 al 1603 è in Spagna con il cardinale Ascanio Colonna, ma lasciato l'alto prelato: nel 1604 si stabilisce a Roma. Qui si deddica agli studi e alle polemiche letterarie, divenendo membro dell'Accademia della Crusca e di quella degli umoristi. A Roma, Tassoni intreccia rapporti con gli ambasciatori sabaudi. Come ricompensa per i suoi servizi di informatore, Tassoni otterrà prestigiose mansioni diplomatiche. Lavora, per il cardinale Ludovisi e per Francesco I, duca di Modedna. Personaggio controverso, il tratto predominante è il suo ostinato spirito di contraddizione, che lo porterà spesso a lanciarsi in violente e dure polemiche. Riveste, un ruolo di rilievo nel panorama letterario del Seicento, perché scrittore colto ed estremamente produttivo. E' la vena - comico satirica, tuttavia, a renderlo famoso ed è in questo filone che si inserisce il suo capolavoro: La secchia rapita. Pubblcata nel 1624, l'opera è la sua aperta polemica nei confronti delle continue rivalità tra le città  italiane. A tutt'altro genere appartengono, invece, le Considerazioni sopra le Rime del Petrarca e le Filippiche contro gli spagnoli; quest'ultima animata da spirito patriottico e da una lucida analisi politica. Enorme diffusione hanno, i Pensieri diversi che rappresentano un esempio significativo dello stile enciclopedico tanto in voga nel Seicento. 

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