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La pioggia nel pineto

GABRIELE  D'ANNUNZIO

La pioggia nel pineto



Nella Pioggia nel Pineto l'elemento musicale predomina su tutti gli altri, nel senso che le proposizioni verbali e le immagini visive, olfattive, tattili, si riportano all'instabilità e al brivido della lor musica più che al loro significato e contorno preciso: e la stessa Ermione sempre presente, alla quale il poeta si rivolge e che diffonde la sua femminilità in tutto il suo pesaggio sonoro di questa pioggia, e qui tramutata, in un accordo fondamentale che intona tutta la musicale fantasia. Le parole, tendono dunque alla pura grazia della trama fonica, atta a suggerire la dolcezza d'immaginare una pioggia che bagna il viso, le mani, le vesti di donna bella, e amata, nel fresco di una pineta, al tempo dell'estate. Perché l'estate, la grande estate, è la premessa di questa pioggia e ne crea il desiderio. 
L'ispirazione, desiderio di freschezza, nasce in una specie di sete e d'arsura che il poeta e la donna a cui egli s'accompagna soffrono. Ed ecco il sogno della frescura sotto la pioggia, nel pineto che fu già rufugio d'ombra. E col fresco si può godere il suono dell'acqua che cade, immaginare di distinguere i suoi vari timbri a seconda dell'albero che percuote; si possono godere tutte le carte sensazioni della vita silvestre. 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane. 

Taci. E tutta questa melodiosa poesia è attenta all'organo umano che accoglie i suoni: invita ad una specie di meditazione auditiva. 
Quel taci iniziale, serve a creare la stupida aura di silenzio in cui l'immateriale melodia della pioggia e delle sensazioni ad essa legate deve, spiegarsi, più immaginata nella mente che non detta.
Non odo parole che dici umane: in verità le ode, ma come puri suoni, aaltrimenti non potrebbe invitare la donna a tacere: le ode senza percepire quel significato che le fa umane. E quando poi il poeta alle parole di gocciole e foglie, non di parole si tratta, ma di suoni diversi da quelli umani, e sia pure della voce di Ermione. Il poeta rifugge dall'umano in questo suo stato di grazia, per vivere l'elementare vita delle sensazioni del bosco, accanto ad Ermione. 

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse

La parola <<piove>> che tornerà più volte, lega l'una all'altra le preposizioni in un periodo vaasto e snello, e dà, come un'armonia imitativa figurata, il ritmo eguale della pioggia. Piove su le tamerici salmastre ed arse: e il motivo del fresco che desta queste immagini di sale e arsura: e si immagina non so che suono un pò sordo, in quelle tamerici, che si ristorano alla pioggia. I pini scagliosi ed irti suggeriscono un suono più acuto e rude: 

piove su mirti
divini..

Divini sono i morti sacrati a Venere, ma qui la parola ha più un valore fonico per l'attrazione che su lei esercita la parola <<pini>> che non un vero varole verbale. Le ginestre, ridanno più limpida la sensazione del fulgore, perché sotto la pioggia tutti i colori si avvivano in una giovane luce: ma il suono ha una delicata freschezza per l'immagine, appunto, di fresco, che la pioggia induce nella nostra mente. 
Così la parola aulenti più eletta che non odorate a esprimer l'odore delle coccole, qui dice un profumo più intenso e meno reale a un tempo, in cui si sente il fresco della pioggia.
I volti di Ermione e del poeta son bagnati dalla pioggia: paiono della medesima sostanza di quella selva, è vero che fin dal principio il poeta, dimenticando le parole umane, ha voluto confondersi con la vegetale vita del bosco. Ora la pioggia si fa cosa anche più immateriale, se il poeta la sente fin nei freschi pensieri che l'anima schiude, rinnovellata in quella vita della selva sotto la pioggia. E anche qui non di <<pensieri>> si tratta, come prima non si trattava di <<parole>> nuove; ma i feschi pensieri sono la gioia elementare di quella freschezza, sentita fin nell'anima. 
La favola bella che ieri il poeta inventò fu dolce illusione alla donna, ed è dolce illusione oggi in lui. La favola pura, quella che consiste nella parola <<favola>> che in questo punto attrae melodiosamente il poeta, e indica vagamente dolci ricordi di future vaghezze. Ne la parola <<ieri>> significa cronologicamente il giorno innanzi, ma indefinito tempo passato. 
E qui, è pronunziato il nome di Ermione. Ma sebbene non prima d'ora il poeta mostri esplicitamente, di parlare a una donna, nel perioso sospeso, che soltanto qui si risolve come senno e come ritmo, si sentiva, per ogni sillaba non so che molle gentilezza affettuosa, inclinata verso una figura femminile. 

Odi? La pioggia cade
su la solitaria 
verdura. 

Immersi nello spirito silvestre, nella più intima sostanza della selva, partecipi dell'anima del bosco, essi vivono la vita stessa delle piante: il volto di Ermione, ebro, perché trasfigurato nel modo di una foglia; le sue chiome odorano come le ginestre chiare il cui fulgore è avvivato dalla pioggia. Auliscono, dice il poeta e la parola sembra la più adatta, in certa sua mollezza, a conservare il ricordo della femminilità di quelle chiome. 

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce. 

Quell'aggettivo aeree non dice solo che le cicale cantano dall'alto degli alberi ma di quel canto dà una indefinita distanza. 
Al canto delle aeree cicale e al pianto della pioggia si mesce il canto della rana, e le parole sembran recare la sostanza stessa degli elementi evocati. 
Ora riprende il canto della rana. 
Ora riprende il canto della rana. Se tace la cicala, che è la figlia dell'aria perché nell'aria canta e di aria sembra nutrirsi, non tace la rana, che è la figlia del limo. Ma la sua voce è più lontana della distanza in cui ella canta, tanto lontana e in ombra così fonda che non pare si possa più sapere donde venga mimeticamente, quasi sottovoce rifancendo il verso della rana remota, il poeta canta, con parole piene di distanza e di fonda ombra: chi sa dove, chi sa dove!

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta...

La pioggia ha reso più acuto e lucente il nero delle ciglia, alla creatura terrestre, che era diventata una specie di ninfa, il cui corpo è l'essenza degli alberi. Il poeta nell'atto in cui ella esce dall'albero in forma di donna, e conserva tutavia i suoi colori arborei. 
E anche il poeta si sente della sostanza della selva, come ha già accennato. E qui, con gioiia, si esalta della nuova vita. 

E tutta la vita è iin noi fresca
aulente...

Ebbri di quella nuova vita non sanno a qual meta muovono, quasi la loro sostanza non segua più i moti di una volontà umana, la l'oscuro volere, l'istinto della vita arborea: 

chi sa dove, chi sa dove!

Con questo verso però si tocca il punto estremo dell'incanto sotto la pioggia. Il risveglio, è nella ripresa del motivo iniziale: <<E piove sui nostri volti silvani>>, e nella ripetizione di tuti i versi con i quali si svolge e si conclude la prima strofa del canto. Infatti questa ripresa ci avverte di quella specie di circolo melico che è tutta la poesia, riportando al primo capo e adesso congiungendo l'estremo punto, ma che è anche ritorno ad un momento di meno intensa vita arborea, anzi al primo segno di quella metamorfosi che poi si farà compiuta nei versi seguenti. Così, il poeta ritornerà a udire quelle parole umane che le nuove parole delle gocciole e foglie non hanno cancellato. Di questo ritorno non c'è che il tenue cenno nel motivo della pioggia che cade sui freschi pensieri e sulla favola bella. 



GABRIELE  D'ANNUNZIO

La pioggia nel pineto

Nella Pioggia nel Pineto l'elemento musicale predomina su tutti gli altri, nel senso che le proposizioni verbali e le immagini visive, olfattive, tattili, si riportano all'instabilità e al brivido della lor musica più che al loro significato e contorno preciso: e la stessa Ermione sempre presente, alla quale il poeta si rivolge e che diffonde la sua femminilità in tutto il suo pesaggio sonoro di questa pioggia, e qui tramutata, in un accordo fondamentale che intona tutta la musicale fantasia. Le parole, tendono dunque alla pura grazia della trama fonica, atta a suggerire la dolcezza d'immaginare una pioggia che bagna il viso, le mani, le vesti di donna bella, e amata, nel fresco di una pineta, al tempo dell'estate. Perché l'estate, la grande estate, è la premessa di questa pioggia e ne crea il desiderio. 
L'ispirazione, desiderio di freschezza, nasce in una specie di sete e d'arsura che il poeta e la donna a cui egli s'accompagna soffrono. Ed ecco il sogno della frescura sotto la pioggia, nel pineto che fu già rufugio d'ombra. E col fresco si può godere il suono dell'acqua che cade, immaginare di distinguere i suoi vari timbri a seconda dell'albero che percuote; si possono godere tutte le carte sensazioni della vita silvestre. 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane. 

Taci. E tutta questa melodiosa poesia è attenta all'organo umano che accoglie i suoni: invita ad una specie di meditazione auditiva. 
Quel taci iniziale, serve a creare la stupida aura di silenzio in cui l'immateriale melodia della pioggia e delle sensazioni ad essa legate deve, spiegarsi, più immaginata nella mente che non detta.
Non odo parole che dici umane: in verità le ode, ma come puri suoni, aaltrimenti non potrebbe invitare la donna a tacere: le ode senza percepire quel significato che le fa umane. E quando poi il poeta alle parole di gocciole e foglie, non di parole si tratta, ma di suoni diversi da quelli umani, e sia pure della voce di Ermione. Il poeta rifugge dall'umano in questo suo stato di grazia, per vivere l'elementare vita delle sensazioni del bosco, accanto ad Ermione. 

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse

La parola <<piove>> che tornerà più volte, lega l'una all'altra le preposizioni in un periodo vaasto e snello, e dà, come un'armonia imitativa figurata, il ritmo eguale della pioggia. Piove su le tamerici salmastre ed arse: e il motivo del fresco che desta queste immagini di sale e arsura: e si immagina non so che suono un pò sordo, in quelle tamerici, che si ristorano alla pioggia. I pini scagliosi ed irti suggeriscono un suono più acuto e rude: 

piove su mirti
divini..

Divini sono i morti sacrati a Venere, ma qui la parola ha più un valore fonico per l'attrazione che su lei esercita la parola <<pini>> che non un vero varole verbale. Le ginestre, ridanno più limpida la sensazione del fulgore, perché sotto la pioggia tutti i colori si avvivano in una giovane luce: ma il suono ha una delicata freschezza per l'immagine, appunto, di fresco, che la pioggia induce nella nostra mente. 
Così la parola aulenti più eletta che non odorate a esprimer l'odore delle coccole, qui dice un profumo più intenso e meno reale a un tempo, in cui si sente il fresco della pioggia.
I volti di Ermione e del poeta son bagnati dalla pioggia: paiono della medesima sostanza di quella selva, è vero che fin dal principio il poeta, dimenticando le parole umane, ha voluto confondersi con la vegetale vita del bosco. Ora la pioggia si fa cosa anche più immateriale, se il poeta la sente fin nei freschi pensieri che l'anima schiude, rinnovellata in quella vita della selva sotto la pioggia. E anche qui non di <<pensieri>> si tratta, come prima non si trattava di <<parole>> nuove; ma i feschi pensieri sono la gioia elementare di quella freschezza, sentita fin nell'anima. 
La favola bella che ieri il poeta inventò fu dolce illusione alla donna, ed è dolce illusione oggi in lui. La favola pura, quella che consiste nella parola <<favola>> che in questo punto attrae melodiosamente il poeta, e indica vagamente dolci ricordi di future vaghezze. Ne la parola <<ieri>> significa cronologicamente il giorno innanzi, ma indefinito tempo passato. 
E qui, è pronunziato il nome di Ermione. Ma sebbene non prima d'ora il poeta mostri esplicitamente, di parlare a una donna, nel perioso sospeso, che soltanto qui si risolve come senno e come ritmo, si sentiva, per ogni sillaba non so che molle gentilezza affettuosa, inclinata verso una figura femminile. 

Odi? La pioggia cade
su la solitaria 
verdura. 

Immersi nello spirito silvestre, nella più intima sostanza della selva, partecipi dell'anima del bosco, essi vivono la vita stessa delle piante: il volto di Ermione, ebro, perché trasfigurato nel modo di una foglia; le sue chiome odorano come le ginestre chiare il cui fulgore è avvivato dalla pioggia. Auliscono, dice il poeta e la parola sembra la più adatta, in certa sua mollezza, a conservare il ricordo della femminilità di quelle chiome. 

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce. 

Quell'aggettivo aeree non dice solo che le cicale cantano dall'alto degli alberi ma di quel canto dà una indefinita distanza. 
Al canto delle aeree cicale e al pianto della pioggia si mesce il canto della rana, e le parole sembran recare la sostanza stessa degli elementi evocati. 
Ora riprende il canto della rana. 
Ora riprende il canto della rana. Se tace la cicala, che è la figlia dell'aria perché nell'aria canta e di aria sembra nutrirsi, non tace la rana, che è la figlia del limo. Ma la sua voce è più lontana della distanza in cui ella canta, tanto lontana e in ombra così fonda che non pare si possa più sapere donde venga mimeticamente, quasi sottovoce rifancendo il verso della rana remota, il poeta canta, con parole piene di distanza e di fonda ombra: chi sa dove, chi sa dove!

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta...

La pioggia ha reso più acuto e lucente il nero delle ciglia, alla creatura terrestre, che era diventata una specie di ninfa, il cui corpo è l'essenza degli alberi. Il poeta nell'atto in cui ella esce dall'albero in forma di donna, e conserva tutavia i suoi colori arborei. 
E anche il poeta si sente della sostanza della selva, come ha già accennato. E qui, con gioiia, si esalta della nuova vita. 

E tutta la vita è iin noi fresca
aulente...

Ebbri di quella nuova vita non sanno a qual meta muovono, quasi la loro sostanza non segua più i moti di una volontà umana, la l'oscuro volere, l'istinto della vita arborea: 

chi sa dove, chi sa dove!

Con questo verso però si tocca il punto estremo dell'incanto sotto la pioggia. Il risveglio, è nella ripresa del motivo iniziale: <<E piove sui nostri volti silvani>>, e nella ripetizione di tuti i versi con i quali si svolge e si conclude la prima strofa del canto. Infatti questa ripresa ci avverte di quella specie di circolo melico che è tutta la poesia, riportando al primo capo e adesso congiungendo l'estremo punto, ma che è anche ritorno ad un momento di meno intensa vita arborea, anzi al primo segno di quella metamorfosi che poi si farà compiuta nei versi seguenti. Così, il poeta ritornerà a udire quelle parole umane che le nuove parole delle gocciole e foglie non hanno cancellato. Di questo ritorno non c'è che il tenue cenno nel motivo della pioggia che cade sui freschi pensieri e sulla favola bella. 

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