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I Promessi sposi. Introduzione. Il romanzo nella forma definitiva

IL ROMANZO NELLA FORMA DEFINITIVA

Partiti dal primo affacciarsi, a grandi linee, dell'opera nella fantasia dello scrittore, e di lì alla prima redazione e, via via, alle successive elaborazioni fino all'ultima, si è posti, così, davanti ai Promessi sposi quali essi ci offrono nella tersa compattezza della loro realtà artistica: simili, <<a un dio greco splendente nel suo marmo pario>>.
Realismo, nella forma dell'opera, e sentimento trascendente e religioso dell'ispirazione.


Lucia Mondella. I promessi sposi


La struttura

La struttura del romanzo spicca fin dapprima nel calcolo degli elementi portanti del racconto, nella congegnata spartizione, episodio per episodio, capitolo per capitolo; nonché, nell'impianto della pagina (descrittiva, dialogica, digressiva).
La spartizione originaria era in tomi, che più o meno corrispondono agli attuali gruppi narrativi; ma solo nel romanzo vero e proprio la distribuzione è quella che conosciamo, e ciascun gruppo o nucleo contribuisce armoniosamente a dar vita al tutto. 
Il ritmo storico trova pienamente consenziente la vena dell'esplorazione psicologica individuale, e la figura che abbiamo davanti al grado rappresentativo sale alla commedia o alla tragedia individuale con tanto più vigore e prestigio.
Qualunque personaggio assume valore di rappresentanza: si tratti di Renzo, il piccolo contadino e artigiano della nostra storia secolare che cerca via via di progredire e migliorarsi; di Lucia, la contadina che la religione avita ha foggiato nell'intimo serena e ferma di carattere; o sia il popolo di donnette, piccoli artigiani e commercianti, intellettuali e borghesi, frati, funzionari, professionisti, sbirri, poveri e disperati, tragica fiumana che percorre tutti i secoli oscuri della nostra vicenda nazionale. Infine il pavido e conformista di tutte le epoche in persona di don Abbondio, figura che forse più di tutte, per la carezzevole sagacia del sarcasmo, raggiunge il livello della grande arte. 
Inquadramento in un periodo storico di estensione all'universale: psicologia locale e psicologia umana in assoluto. Un padre Cristoforo o una Monaca di Monza, sarebbero senz'altro impensabili fuori dal Seicento con la sua rinascita religiosa e, per un altro verso, con l'oppressione delle coscienze che allora ci fu.
Anche le parti storiche possiedono sovente un ritmo, una pienezza che si accentra in episodi di grandissima efficacia; si veda, a proposito delle descrizioni della peste, la pagina sulla madre di Cecilia. 
Lo scrittore si ferma su discussi episodi come quello degli untori, e neanche qui la sua interpretazione sbarra la strada ad altri giudizi. Per raffigurare le deviazioni del retto senno, unico scorcio come quello della donna che nel cap. XXXIV, grida all'untore all'indirizzo di Renzo; meglio certe visioni dolenti di una umanità colpita alle radici, come la tragica prospettiva che ci è data al primo ingresso di Renzo al lazzaretto.
Anche qui la tecnica manzoniana è costante. Prima di tutto (ma non sempre prima), qualche scorcio più o meno ampio di fisionomia <<indiretta>>. Segue poi una dissertazione storica (don Abbondio), oppure una digressione (Gertrude), una narrazione (Lodovico-padre Cristoforo), una biografia (Cardinal Federigo) o una trasfigurazione della cronaca in vista di un certo esito (innominato). Quando questa parte introduttiva è taciuta, il personaggio entra subito nel ritmo narrativo, il discorso segue spontaneo, e tutto sta nel vedere se l'alveo storico riuscirà a contenerlo fino in fondo. L'esperienza di un'intellezione in chiave psicologico-storica prolungata è tentata solo con Gertrude. E' messa infatti in maggior luce la sua parte di responsabilità a causa della debolezza del carattere; e quando la monacazione forzata è avvenuta e la responsabilità altrui è consumata, ecco che la creatura si trova sola, e deve veramente scegliere.
Manzoni scrive:<<E una delle facoltà singolari e incomunicabili della relogione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c'è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c'è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò che è stato intrapreso per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione>>.
Non è un semplice aforisma moralistico e oratorio; è così che il rapporto fra ambiente e individuo è messo a fuoco, e dal senso ambientale Manzoni passa a un altro, e superiore, ordine di valutazioni e attribuzioni di responsabilità. Se è vero pertanto che la psicologia è sempre attinta alle circostanze storiche, la parte dell'ambiente s'incrementa a moralità soggettiva, e il romanzo sfugge alle maglie del determinismo sociale.


Don Rodrigo. I promessi sposi


L'ambiente. I personaggi

I grandi scenari, a cominciare da quello celebre dell'<<Addio ai monti>>, s'inseriscono direttamente nella vicenda umana, e la loro intima veridicità sorge proprio in corrispondenza al rimuoversi dei sentimenti, delle speranze, delle angosce degli attori. Così, quell'Addio bene esprime il senso di quiete stupefatta, di angoscia trepida dell'avvenire, e pur legata alla fede nella Provvidenza, che è nell'animo di Lucia; la stessa diretta partecipazione dell'autore agli eventi, qui è portata al massimo dall'oggettivazione. 
Lo stesso si può dire delle rappresentazioni paesaggistiche; si ricordi la descrizione del cielo mattinale, quando Renzo si sveglia dopo la fuga da Milano, prima di passare l'Adda, con quel tocco conclusivo di <<pace>> che sembra rispondere all'intimo presagio dell'innocente; i tre rapidi scorci del cielo al tramonto, poi della notte lunare e infine del primo mattino, che segnano la crisi dell'innominato. Con Manzoni, si è sempre nell'area del paesaggismo spiritualistico romantico, dove momento psicologico umano e momento esoterico e simbolico coincidono fra loro; mentre col simbolismo la realtà si trasfigura in soprarealtà, e così annulla ognia ltro valore. 
Dallo psicologismo classico del romanzo settecentesco si arriva qui alla prospezione dell'individuo dell'ambiente; siamo, cioè, a un tipo di attenzione, che non tarderà a sconfinare (e già si è detto) mel naturalismo vero e proprio. Manzoni è, il narratore di un'epoca di transizione. La formula ch'egli adotta del romanzo storico non significa un qualcosa di avulso dal contesto umano in sé a favore di un'idea astratta di storia; da Manzoni la storia è atomizzata nelle reazioni interne degli individui ed è intesa come un agglomerato d'azioni e reazioni soggettive, e si annette al giudizio di uno svolgimento frantumato e disorganico. Un esame critico alla luce d'un pensiero e d'un sentimento della vita rigorosamente applicati. Si tratta cioè di un giudizio morale. Le esigenze della vita sono quel che sono, e non c'è acutezza perspicace o santità che sia in grado di prevenire gli eventi; lo dimostrano se non altro le illusorie speranze di padre Cristoforo quando si separa per la prima volta dai promessi, e il fatto ch'egli stesso contribuisce a mettere in mano a Gertrude la sua protetta; o il consenso che il Cardinal Federigo dà all'ingresso di Lucia in casa di donna Prassede. Anche durante il colloquio con don Abbondio, la più vera espansione del Cardinale che si ha quando, cessando dall'obbligo di giudice, si piega a considerare la debolezza della natura umana, e se ne dichiara personalmente partecipe. 
Non bisogna cioè dimenticare che ciascuna figura è rappresentata di scorcio o, viceversa, a tutto tondo, per cenni sintetici per ordinato sviluppo, secondo le esigenze della narrazione. L'innominato, raffigurato quando è già in crisi, altrimenti sarebbe immaginabile la conversione nel giro di poche ore dall'arrivo di Lucia. Lo scrittore probabilmente attinse dall'esperienza teatrale questa tecnica del dimensionamento dei personaggi del racconto; a ha fors'anche attinto il senso dell'ordinata distribuzione in gruppi, o nuclei, di racconto, dalla divisione teatrale per atti e scene. 

La concezione generale della vita

La volontà manzoniana di sottrarre il romanzo al sovrapporsi di uno schema rigido di giudizio spirituale o religioso si rivela anche nell'intelaiatura generale degli avvenimenti. Nel susseguire dei fatti collettivi, la fame, la guerra, la peste, operi una previsione organica nella storia. 
A dire del Monigliano, Dio conduce le cose del mondo nel romanzo in modo che i buoni abbiano del bene anche di qua: sarebbe il romanzo <<l'epopea della Provvienza>>. Altri fanno invece l'ipotesi di un piano provvidenzialistico a favore del personaggio principale, Renzo, condotto in salvo malgrado i tanti ostacoli, alla stregua di Enea o di un Dante contadino. A parere invece del Barbi, dissenziente dal Momigliano, fine di Manzoni è <<non già di fare un'apologia della Provvidenza, ma di dare un'immagine, una rappresentazione di questa vita>>.
Nei Promessi è veramente rappresentata la vita col suo miscuglio di orrori e <<scene di malvagità grandiosa>>, nonché d'<<imprese virtuose e buontà angeliche>> a lieto fine; è la tragedia-commedia di quella vita comune che sa resistere nei momenti più difficli e temperarsi in quelli fortunati. Tutto ciò che egli ha voluito rendere estremamente frantumato ed episodico, conscio che il senso dell'esistenza non risiede affatto negli avvenimenti dove i potenti s'illudono di assorbire il significato di un'intera generazione. Vera storia è quella che si rifugia nell'intimo dell'individuo; anche quando vengono in campo i personaggi ufficiali, ciò che di essi vale agli occhi di Manzoni è la capacità di resistere o meno alle tentazioni dell'onnipotenza sopraffatoria: come, nel governatore don Gonzalo, la bramosia di avere spicco sul quadro politico e militare aggiungendo allori a quelli conquistati nelle guerre di Fiandra. 
Il realismo ha disilluso Manzoni da credere che la divina Provvidenza stia a curare e a controllare in permanenza la tregenda dei fatti umani. Da questo punto di vista, si tratta di una teologia nascosta, che non contraddice affatto neppure alle esigenze del giudizio laico. La vera salvezza o la rovina di ciascuno si attua nell'intimo, nella volontà o meno di prestare orecchio alla voce del bene; per ciòà basta un qualsiasi Renzo col suo bonario e religioso ottimismo, o una fanciulla contadina con l'istintiva, religiosa rettitudine. Esiste in ciascuno di noi un superiore istinto che può venir fuori da un momento all'altro: un'ispirazione che le circostanze, per angoscia o speranza, possono metterci in grado di percepire. Nessuno, neanche don Rodrigo, è sottratto all'influsso del bene; ciascuno è potenzialmente redimibile.
Questa concezione della vita si proietta su un definito quadro storico, quello del Seicento lombardo, descritto con estrema accuratezza; periodo che lo scrittore considera rappresentativo di una intera tradizione nazionale. 
Gli aspetti universali vengono a coincidere con quelli di un gruppo nazionale in una fase significativa della sua vita secolare, e che il suo giudizio sull'esistenza umana su questa terra lo scrittore ci comunica in forma di un apologo italiano e lombardo, ambientato dove il tessuto sociale era andato più lacerato e dissolto, quando gli eventi ufficiali non erano più ormai che una tragica parodia degli interessi e bisogni più veri, e i mali, le sventure, attraverso una tragica serie, sembravano aver raggiunto il colmo. Una personificazione speciale - quella, del Seicento lombardo e italiano - infusa di un lievito superiore, che ne rende universali gli intendimenti nel continuo, nutriente colludere fra un realismo portato fino al limite massimo della episodicità e un senso universale e spirituale che sfiora e fa tralucere, una religiosità metafisica.
E' una concezione, che si riflette nelle forme dell'arte e del linguaggio, trovando la più perfetta consonanza possibile. Il timbro morale del racconto risponde a un sentimento medio della condizione umana tra realtà e trascendenza, quasi a un ipotetico clima purgatoriale. 
Secondo Manzoni, è necessario affidarsi a una speranza trascendente e, a uno spirito di rassegnazione, di adattabilità, fidando nella sapiente economia provvidenziale su questa terra. Bisogna cioè essere in grado di edulcorare con una fidente disposizione d'animo il nostro destino: convincerci della bontà della nostra condizione per conciliarci alla vita. E' dunque un colorito tutt'insieme di speranza e rassegnazione, d'intraprendenza e d'attesa pensosa che fa il timbro dei Promessi sposi. Un senso, un colorito che imprime di volta in volta copn la frase il periodare: scandito e quieto, umile e avvolgente, di una misura sapientemente temperata che penetra negli interstizi, e sembra accordarsi al flusso nativo dello spirito. 


Renzo Tramaglino. I Promessi sposi

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