Passa ai contenuti principali

I miti greci. Presentazione

I miti greci

Presentazione


Robert Graves 

Il mito è bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura, il mito è spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde a esigenze della tribù, il mito è struttura delle credenze di gruppo, di un etnos, ma il mito è innanzi tutto un racconto, c'è una storia da presentare ce ha lati terribili, ma anche spesso risvolti patetici o sorridenti, ci sono dei personaggi in azione, una trama che si snoda. 
Il corpus delle leggende degli antichi Greci, è stato riproposto più volte anche per questo motivo, nell'ultimo trentennio in sistemazioni rigorose di sapiente architettura, di utile consultazione. Robert Graves, non si limita alla nuda e cruda elencazione dei fatti, ma colma l'ordito con una serie di considerazioni che illuminano dal di dentro protagonisti e comparse, che intendono dare spessore morale e psicologico agli avvenimenti. Graves cuce le vicende, senza spingersi alle ragioni profonde, ma riempiendo i vuoti con interventi e sottolineature dei moti mentali, delle componenti affettive più immediate. Egli rifiuta la narrazione a una sola dimensione: inserisce aggettivi, avverbi, proposizioni secondarie, concessive, avversative, che conferiscono pienezza all'espansione, le impediscono di essere schematica. 
La rigidezza del disegno classico viene sciolta con una visione a corta distanza, che cerca di annullare i secoli, quasi si trattasse di gente che si incontra per strada. L'accento è messo di frequente, sul lato più quotidiano e meno ferino, l'aria che si respira ha qualcosa di domestico: Sisifo ha un altro trucco in mente, Odisseo si congeda da Calipso con un bacio e parte col vento in poppa. Non è assente, l'aspetto cruento, non si sorvola dalle cose più inquietanti. Nella linea di un racconto che va avanti per conto proprio, la gloria e la debolezza, l'orrore e il ridicolo non sono necessariamente separati: la favolistica ha molte facce. Improvvisi passaggi al discorso diretto, o addirittura inizi col discorso diretto, provvedono ad animare il discorso, al quale crea una sua autenticità l'attenzione agli spazi, al contesto topografico in cui le varie figure si muovono. 
Il secondo merito di Graves è di avere saputo strutturare la materia, così da escludere l'accumulo casuale di spezzoni, da assicurare all'insieme una logica interna. Non ci sono riassunti pasticciati, troppo carichi di alternative: viene privilegiata una redazione, in maniera che il lettore non debba perdere il filo, non si aggiri smarrito in un labirinto. Graves colma lacune, somma, con bravura combinatoria, appoggiandosi ad autori diversi, molteplico contributi, tracciò un quadro ampio ed esauriente: e si sbarazza del ragguaglio che costituisce intralcio con un formulario, non scevro talvolta di umorismo. Rispetta la necessità dell'affermazione, spiega come sono andate le cose, e accenna con discrezione le varianti, introduce la tradizione diversa, sia che la stacchi e subordini gerarchicamente, sia che la incastoni di sfuggita. Ogni volta, Graves riesce a fornire un'episodio autonomo, e nello stesso tempo dà l'idea che nella grande famiglia del mito tutto si interseca. Ma Graves evita la sistemazione per soggetto (Olimpo, eroi, amore, morte e così via): offre una sequenza intesa a prospettare lo svolgimento diacronico, dagli antenati ai nipoti, il rispetto concerne meno i luoghi (cielo, mare, terra) che i tempi, sicché, partendo dalla cosmogonia si arriva agli uomini, dagli eroi arcaici, e loro discendenti, si perviene ai personaggi delle grandi saghe epiche. Il recupero dei numerosi tasselli comunque appartenenti a una storia e combinabili o meno, significa dimenstichezza con le fonti. Graves conosce gli scrittori da cui ricava le sue sintesi: riscrive la cronaca di un tempo antico rivisitandone gli archivi letterari, e in qualche caso geografici e storici, con paziente e accurato controllo. Lo dimostra, il ricorso al materiale tragico: le tracce dei grandi drammaturghi sono seguite assai da vicino, si avverte quasi l'eco delle loro parole. A Graves non interessa come un poeta renda attivo, operante un mito, o che logica ne ricavi, ma ne accetta tutti gli spunti narrativi che gli tornano comodi, che gli permettono di non tediare il pubblico. Non pretende voli creativi, non scende sullo stesso terreno dei grandi, ma si rifà a essi per un'intelligente e astuta didattica. Con altretanta abilità ricorre agli eruditi, ai dotti antichi, cominciando da Pusania. E' evidente che ha avuto sotto gli occhi la Periegesi, la guida della Grecia, indispensabile tra l'altro per l'ubicazione degli eventi mitici: Graves individua ed enuclea l'incontro da inserire a pieno diritto, nella ricostruzione, l'elemento che fa spicco, l'aggiunta efficace. Graves si fa scrupolo di citare i suoi testimoni: ogni racconto è corredato alla fine da una messe di rinvii, delle indicazioni dell'autore, o degli autori, da cui proviene un certo dato. 
Se si immerge con passione nel mito, il narratore ha al tempo stesso lo sguardo attento alle cause e alle ragioni di esso. Non si lascia il lettore libero di escogitarsi una cifra, lo mette lui stesso sulla strada. La base più suggestiva è naturalmente rappresentata dalle indagini antropologiche e flocloristiche di Frazer: di continuo saltano fuori l'arcaico conflittro tra re sacro e suo successore, i mutevoli rapporti tra la regina e i suoi amanti, i costumi agrari stagionali. Ma c'è anche lo svelamento socio-politico (l'Europa prima degli Indoeuropei, l'Europa dopo l'invasione degli Arii): Graves per capire ciò che il mito ha deformato riappoggia, per così dire, i piedi per terra, parla di abitudini militari, scorrerie di pirati, di controversie, conflitti, armistizi, di colonizzazioni, fondazioni di regni, rivalità di re, di una confederazione commerciale da abbattere, ecc. Avanza spesso l'ipotesi che un'immagine abbia fatto scattare il mito: ricorre all'iconografia accertabile come la ceramica, e a un'iconografia plausibile, ma non verificabile creata dalla sua fantasiosa immaginazione: egli postula sacri affreschi, raffigurazioni primitive, magari con la cautela di un <<forse, pare, probabilmente>>, e talvolta con dovizia di riferimenti, nell'invenzione, com'è per la leggenda di Tereo. 
Graves respinge nell'esplorazione del mito greco, le spiegazioni della psicoanalisi, l'inconscio, gli archetipi collettivi. E' un atteggiamento che fa tuttuno colla capacità di prospettare dipinti, quadri come stimoli al mitografo per scrivere, cola tendenza a ripercorrere una vicenda rimanendo legato al concreto, senza incuriosni nel misterioso, col gusto di etimologie indiscutibilmente estrose. L'ostilità a un determinato tipo di dottrina: nasce da un'altra visione del mondo, è il preciso rifiuto di un certo parametro d'interpretazione. Graves rifugge dal riversare su forze ignote, angosciose, terribili la responsabilità dei protagonisti dei suoi racconti; alle spalle dell'individuo vede, la volontà del nume. 

https://www.facebook.com/MadameVrath/
https://twitter.com/MadVrath
https://www.linkedin.com/notifications/
https://plus.google.com/u/0/+MadameVrath

Commenti

Post popolari in questo blog

Gabriele D'Annunzio, Nella prosa notturna la critica più recente scorge un D'Annunzio diverso e più sincero

GABRIELE D'ANNUNZIO NELLA PROSA NOTTURNA LA CRITICA PIù RECENTE SCORGE UN D'ANNUNZIO DIVERSO E PIù SINCERO Per molti anni l'orientamento della critica nei riguardi dell'opera e della personalità del d'Annunzio è rimasto fedele al saggio che il Croce scrisse a tale proposiito fin dal 1903. Il Croce innanzi tutto fece una netta distinzione tra la vera personalità dannunziana e quelle false che il poeta stesso e gli altri gli imposero il falso buono, il falso eroe, il falso mistico, il falso profeta ecc. La personalitàvera resta quella di un sensuale, anzi di un <<dilettante di sensazioni>> privo di <<umanità>> e di una qualsiasi carica ideale. Il Gargiulo confessava sostanzialmente la tesi crociana, definendo il D'Annunzio un poeta <<privo di interiorità>>, ma grande <<lirico paesista>>. Il Flora riduceva il motivo della sensualità alla <<presenza dell'animalità o bestialità>>: tutti

Critica e trattatistica del barocco. Tesauro e la critica barocca. Madame reali fra i Savoia. Alessandro Tassoni

Critica e trattatistica del barocco Tesauro e la critica barocca Emanuele Tesauro Emanuele Tesauro  Il Cannocchiale Aristotelico Nobile piemontese, ex gesuita, Emanuele Tesauro visse alla corte di Torino, in forte rapporto con la nobiltà brillante e rissosa del Seicento.  Non tutta la trattatistica teorica sull'acuteza a metà Seicento muove dalle esigenze moderate che condizionano le regole del Peregrini e del Pallavicino.  Il più celebre trattato sul concettismo, Il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro, se ha in comune con i moderati l'impegno di regolamentazione del nuovo stile, non ne condivide la risentita polemica contro le esagerazioni, è animata anzi da un vibrante entuusiasmo per il meraviglioso potere della argutezza.  Gran madre d'ogni ingegnoso concetto, chiarissimo lume dell'oratoria e poetica  elocuzione, spirito vitale delle morte pagine, piacevolissimo condimento della civile conversazione, ultimo s

La pioggia nel pineto

GABRIELE  D'ANNUNZIO La pioggia nel pineto Nella Pioggia nel Pineto l'elemento musicale predomina su tutti gli altri, nel senso che le proposizioni verbali e le immagini visive, olfattive, tattili, si riportano all'instabilità e al brivido della lor musica più che al loro significato e contorno preciso: e la stessa Ermione sempre presente, alla quale il poeta si rivolge e che diffonde la sua femminilità in tutto il suo pesaggio sonoro di questa pioggia, e qui tramutata, in un accordo fondamentale che intona tutta la musicale fantasia. Le parole, tendono dunque alla pura grazia della trama fonica, atta a suggerire la dolcezza d'immaginare una pioggia che bagna il viso, le mani, le vesti di donna bella, e amata, nel fresco di una pineta, al tempo dell'estate. Perché l'estate, la grande estate, è la premessa di questa pioggia e ne crea il desiderio.  L'ispirazione, desiderio di freschezza, nasce in una specie di sete e d'arsura che il poeta