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I Promessi Sposi. Introduzione. La fase di preparazione al romanzo

LA FASE DI PREPARAZIONE AL ROMANZO


Alessandro Manzoni


L'elaborazione del romanzo manzoniano - inscritta, tra una prima stesura destinata ad assumere il nome di Fermo e Lucia, e il testo definitivo del 1840-'42 - forma uno dei capitoli più singolari della nostra storia letteraria.
L'inizio coincise con il periodo di sosta forzata nell'esistenza e nell'attività letteraria dello scrittore, che ebbe luogo dopo la crisi politica del 1821. Dal gennaio è la morte del Porta: colpiti nel lavoro e nella libertà personale sono Confalonieri e Pellico; esule Berchet; e il senso di oppressione e pericolo che segue alla repressione poliziesca insinua in Manzoni un sapore amaro di sconfitta. 
Sono anni in cui ha sul tavolo la Pentecoste e l'Adelchi. Allo stesso periodo appartengono la lettera allo Chavet, quella al D'Azeglio, e il Discorso sulla storia longobardica in Italia. E' una trama di lavoro intorno a nuovi temi e ad imprese già avviate, come gli Inni sacri, che impressiona per ampiezza e impegno. L'inizio preciso del romanzo è segnato sulla prima pagina dello scartafaccio dell'abbozzo: <<21 aprile 1821>>.
Il cultore delle vecchie cronache è stato evidentemente colpito specie dalla lettura dei libri della Storia patria e della Storia della peste del 1630 di un canonico milanese, il secentista Giuseppe Ripamonti. Ancora nell'Ottocento le vicende dell'antico flagello conservavano un'eco paurosa; di quei casi aveva narrato anche Pietro Verri nella sua Storia di Milano. Quale società era infatti immaginabile in un paese che amncava da sempre dell'unità nazionale, non solo, ma di quella linguistica? In siffatte condizioni il punto di partenza di un'impresa narrativa non poteva attingere che alle linee episodiche della cronaca, integrando con la fantasia. Come elementi di aggiunta si potevano richiamare il fine pedagogico invocato fra noi dal romanticismo, dibattere il tema linguistico: un insieme di preoccupazioni che traspare nell'abbozzo fin dalle varie stesure dell'introduzione al romanzo. 
Per combinare l'elemento storico con quello di fantasia, la trovata fu di fingere che la vicenda derivasse da un antico testo, una cronaca, opera di un anonimo. L'interesse per la storia si collega direttamente, in Manzoni, al sentimento e al gusto, presente, della realtà. Già per il Manzoni delle tragedie l'impegno sulla storia tocca a fondo gli interessi moderni dello scrittore. 
Il rapporto tra storia e realtà non si limita all'inerte contemplazione del passato. Ne vedremo un giorno gli sviluppi, quando nel discorso Del romanzo storico, Manzoni sconfesserà l'ibrido romanzesco di storia e fantasia, a vantaggio del <<vero>> integrale. Un tale presuppposto si preannuncia nel romanzo già con l'invenzione dell'<<anonimo>> secentista, di cui lo scrittore enfatizza i vistosi difetti con mimetico sarcasmo. 
Dell'Introduzione abbiamo svariate stesure. Contemporanea alla composizione dei primi capitoli è una prima redazione - che chiameremo per comodo A - la quale fu rifatta ex novo (B) dopo l'intera compilazione dell'abbozzo del romanzo (Fermo e Lucia). Seguirono una nuova Introduzione (C) all'edizione del '27, e finalmente quella, ancora variata, dell'edizione del 1840 (D).


 I Promessi sposi. Don Abbondio e i Bravi


Il problema storico

Da Manzoni resta escluso ogni intento di fantasiosa divagazione. E'sempre alla realtà documentata, o lecitamente immaginabile, che vuol mirare; perciò il sottotitolo del romanzo fu Storia milanese del secolo XVII, che, pur nel riferirsi alla fittizia cronaca di un anonimo, dice chiaramente quali siano in principi a cui lo scrittore si appoggia. 


La Peste del '600. I Monatti


Il problema linguistico

Il passo più significativo in proposito è contenuto in B, nell'esaminare il modo di esprimersi dell'anonimo; in Italia, a causa delle separazioni in diversi stati, le spontanee differenze si erano aggravate riflettendosi specialmente sulla lingua, che aveva assunto <<un colore municipale>>.
Quanto alla Lombardia del Seicento, alle altre cause si aggiungeva una situazione tutta speciale d'ignoranza e d'ottusa pedanteria. Non era dunque possibile, in alcuno modo, riprodurre, per amore della verità storica, la supposta pagina dell'anonimo:<<Ma, rigettando come intollerabile, lo stile del nostro autore, che stile vi abbiamo noi sostituito? Qui giace la lepre>>.
La lingua è un mezzo vivo e corrente, per cui le parole e frasi debbono diventare <<tanto famigliari ad ognuno, che ognuno (moralmente parlando) le riconosca appena udite; dimodoché se un parlatore o uno scrittore per caso adoperi qualcheduna che non sia di quelle, o travolga alcuna di quelle ad un senso diverso dal comune, ognuno se ne avvegga e ne resti offeso>>; le parole devono, essere <<tanto famigliari ad ognuno che il parlatore triviale e l'egregio cavino dallo stesso fondo, e dopo averli uditi successivamente, un uomo colto senta fra di loro differenza da idee, di raziocinio, di forza etc. ma non di lingua>>.
In Italia esiste una lingua <<incomparabilmente più bella, più ricca,>> provvista di <<materiali per esprimere idee più generali>>, che non teme il confronto con nessuna altra lingua o dialetto: quella toscana. 


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