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Critica e trattatistica del barocco. Le discussioni sull'Adone

Le discussioni sull'Adone


Venere e Adone. Canova 


Venere e Adone. Veronese


Proprio per l'equivoco che si nascondeva nel nesso tassoniano tra progresso delle scienze e progresso della poesia, la seconda grande disputa letteraria secentesca, svolta sul maggiore poeta del presente, il Marino, disputa poco attenta al rapporto tra la nuova letteratura e la nuova scienza è solo in parte sminuita da questo mancato aggancio culturale: e se in essa non troviamo certo la testimonianza complessa delle varie spinte innovatrici secentesche che ci offre la critica di Alessandro Tassoni, troviamo però schemi più precisi per ordinare le tendenze di gusto secentesche. Nella polemica sul Petrarca era solo la voce dell'innovatore Tassoni che contava; qui si delineano tre posizioni critiche tutte di notevole importanza. Il conservatore, l'accusatore dell'Adone ed iniziatore con il suo Occhiale della polemica, Tommaso Stigliani, superiore all'avversario del Tassoni, per la più vasta esperienza umana e per la sua stessa evoluzione letteraria, di letterato molto vicino all'ambiente e alle ricerche degli innovatori e schieratosi su posizioni conservatrici sotto la spinta dell'acre rivalità verso il Marino. 
Il suo nome è l'allarme generico di chi vede messi gli idoli della vecchia cultura, Petrarca ed Aristotile, ma è il giudizio preciso sul risultato, cui la spina innovatrice ha portato la letteratura italiana, su quel poema gonfiato ad accogliere un pò tutti i temi e tutti i generi letterari, che i movimenti propongono come assoluto capolavoro davanti al quale tutte le opere del passato apparirebbero imperfette. Se egli si rifà al regolismo aristotelico per combattere la disordinata costruzione dell'Adone, se si rifà ad un bembismo molto annacquato, per opporsi ai neologismi mariniani, tuttavia l'accento del suo Occhiale non batte solo su quei principi tradizionali messi in crisi, bensì anche sulla concreta qualità del poema mariniano. Il tema delle unità violate diventa un mezzo per descrivere criticamente le strutture dell'Adone: in cui le singole parti, in cui l'apparente ricerca di verità non nasconde l'intima povertà tematica e addirittura verbale mentre la denunzia dei difetti di stile e di vocabolario, conduce ad un inventario parecchiio interessante dei modi irregolari del Marino che può al di fuori dell'intenzione solo dissipatoria dello Stigliani, oggi servirci come spoglio delle forme mariniane che agli occhi dei contemporanei suonavano più nuove. Lo Stigliani, riprendendo la parodia dello stile <<petrerchesco>> già praticata nel suo Canzoniero, egli accosta alcune metafore strane dell'Adone ad altre, ancora più stravaganti, da lui inventate per dileggio ed attribuite a due poeti Sissa e Vanetti che nel Marino avrebbe lodati. Da una parte propone, un problema di cui la critica secentesca a lungo si preoccuperà: tutte le bizzarrie sono valide, anche quelle dello Pseudo Sissa e dello Pseudo Vanetti, o esiste una differenza tra arguzie accettabili e arguzie viziose? D'altra parte partecipa anzitutto alla concezione della critica come esercizio letterario anche autonomo, apprezzabile al di fuori delle sue tesi, per la spiritosità delle sue invenzioni. Partecipa alla stessa interpretazione secentista della poesia come tecnica: nelle invenziioni dei versi ultra concettistici da parte dello Stigliani è implicita la volontà di mostrare infondata l'ammirazione per il virtuosismo metaforico mariniano: non è poi così raffinata, come si crede la tecnica mariniana se può dal suo denigratore venire tanto facilmente contraffatta. Proprio per questo foorte contatto con la mentalità barocca si spiega come lo Stigliani sia stato in grado, dii trascendere il caso singolo del Marino, di darci un quadro articolato della crisi, irrimediabile, della letteratura del suo tempo e di indicarvi ragioni, di segnare così il momento di maggiore consapevolezza del distacco dal passato da parte dei conservatori. 
Meno vivaci dello Stigliani sno forse i difensori del Marino, incerto tra marinismo e classicismo l'Errico, spesso faticoso e divagante il più tardivo apologeta, l'Aprosio, e più apprezzato, Aleandri. 
La testimonianza di quest'ultimo, serve a chiarire bene il gusto del marinismo ortodosso. 
Aleandri accetta le regole per sostenere poi con vari cavilli che il Marino le ha rispettate. Svoltasi ormai interamente la rivoluzione del gusto, una cosa soprattutto preme: affermare la piena rispondenza dell'Adone alle esigenze dell'età: quello che importa è piacere al pubblico; solo il successo è la vera misura della poesia. Manca così la tensione spavalda di altro barocco (e manca il raccordo tra la rivoluzione letteraria e altre innovazioni culturali, il parallelo tra la ribellione estetica e la ribellione scientifica alla tradizione). Uno dei motivi che avevano posto in crisi il modello rinascimentale era, il bisogno di un controllo intelletualistico della poesia, d'un paragone con la realtà, qui per un momento perde valore. Non si rigetta del tutto il bisogno di verità. Non si afferma che la finzione piace appunto perché è finzione, inganno scoperto e spiritoso. Si afferma l'aspetto illusionistico della <<nobil dicitura>> e dell'<<altre gentilezze>>, effetto ottenuto, nella forza travolgente, inebriante degli ornamenti. Quando il lettore è dilettato fino all'ebbrezza, ogni altro controllo sulla poesia diventa impossibile (e la vicenda di questo atteggiamento con un più grande costume barocco, con lo sfarrzo di cui i secenteschi si inebraino e di fronte al quale ogni altra probelmatica perde forza  incisiva, è evidente). La discussione sull'Adone è importante per le posizioni del terzo suo protagonista, Nicola Villani. Del Villani, un letterato pistoiese vissuto a Roma e a Venezia, autoee anche dei libri sull'Adone, l'Uccellatura e le Considerazioni, d'un altra opera critico - erudita, il Ragioonamento sovra la poesia giocosa, di ragguagli di Parnaso in versi, di anticonformiste e violente satire latine e di un poema epico Della Firoenza, difesa; al centro dei suoi interessi critici sta non solo il problema mainiano ma la generale posizione della nostra letteratura nel Seicento e fuori del Seicento, e difatti nelle Considerazioni egli inserisce come digressione una serie di saggi sui maggiori poeti della tradizione italiana al fine di mostrare come la perfezione degli antichi non sia stata raggiunta e come molto cammino resti da fare e molta gloria attenda chi voglia cimentarsi nel volgare. Sono posizioni abbastanza affini e a quelle del Tassoni: non esistono modelli da seguire indiscriminatamente, la tensione al nuovo, la ribellione al gusto rinascimentale è pienamente legittima. 
Il Villani è preoccupato d'una minuziosa regolarità intellettualistica delle invenzioni poetiche; molti dei rimproveri che egli fa ai grandi poeti del passato sono rimproveri di iverosimiglianza, di passaggi narrativi o descrittivi non ben condotti di poca chiarezza. E, se accetta l'aspirazione alla novità dei moderni, non ama poi le loro stravaganze. 
A differenza del Tassoni, appare chiaro il Ragionamento sovra la poesia giocosa e da alcuni passi delle Poesie piacevoli il Villani non è un indiscriminato difensore dell'età moderna. Critica la letteratura toscana del passato, ammira prò i grreci nella coscienza della diversa funzione che la poesia aveva negli antichissimi tempi: powsia di poeti - re e di profeti, capace di dare profondi insegnamenti morali. Se accetta la ricerca del nuovo baarocco, non accetta perciò la ricerca dell'immediato successo, del diletto suuperficiale del pubblico. 
La critica dei grandi poeti della nostra tradizione che ha in comune con il Tassooni; ha perciò una diversa motivazione; non l'accostamento progresso della poesia - progresso nella scienza, ma il vagheggiamento di una nuova più alta poesia che più profondamente smuova e insegni. 
Gli è che l'insoddisfazione del Villani verso il sistema secentesco è, ben più viva che nel Tassoni, nemico sì degli spagnoli e degli aristotelici ma poi così profondamente legato alla mentalità rissosa ed altera della nobiltà italiana. 
Lo stesso distacco dai miti amorosi della tradizione, ha in lui un'accentuazione diversa: un grnerale fastidio verso una letteratura che ha troppo esclusivamente puntato sull'erotismo e che ha perciò preparato l'esplosionne di lascivia dei contemporanei. E' una reazione che meno facilmente s'adagia nel generale scetticismo sentimentale dei barocchi (per i quali la noobilitazione dei sentimenti d'amore è frutto degli ornamenti stilistici che lo rendono più piacevoli, senza che vi occorra una più intensa operazione).
Mentre nel Tassoni, anche quando s'oppone alle indecorose eagerazioni dei moderni, la metafora resti sempre un fatto intellettualistico, nel Villani, affiori la ricerca di un nesso tra metafore e sentimenti, tra metafora e forza rappresentativa. Preocupazione di decoro contro le stravaganze, ma anche desiderio di poesia più sentimentalmente schietta; amore di verosmiglianza ma legata a realtà psicologiche; bisogno di efficacia pratica ma non attraverso l'evasione della <<nobil dicitura>> e delle <<altre gentilezze>> che inebriano per l'Aleandri il lettore dell'Adone, si da impedirgli di rendersi conto delle stranezze del racconto, bensì in una richiesta di precisa efficacia nella direzione che il racconto richiede, rifiuto delle <<sonanti parole>> dei moderni, delle descrizioni tassiane quando non danno <<altra impressione che d'eloquente e forbita dicitura>> e rifiuto degli ornamenti adoperati a sproposito; talvolta persino un rifiuto della giustificazione ornamentale della metafora. 
L'affermazione netta dell'insufficienza dei modelli del passato in un critico personalmente <<spassionato>> nemico della moda marinistica e non teso come il Tassoni a celebrare personalmente il moderno sull'antico, segna bene la generale presa di coscienza da parte della cultura secentesca del suo stacco dal Rinascimento.
La richiesta di una poesia che sorpassi le mode testimonia il permanere della resistenza alla pura ricerca del successo che guida tanta altra precettistica secentesca.
Gli accenni all'età ddei profeti, mentre rivelano ancora una volta la caduta dei miti sentimentali cortesi e petrarchistici, scartano le soluzioni secentistiche di nobilitazine attraverso l'arguzia della lascivia e si riallacciano a una parabola più lunga della nostra critica che scavalca il mondo tipico del barocco. L'esame dei nuovi strumenti stilistici, apprezzabili quando non sono soverchi, nocivi quando sono adooperati fuorii di luogo, e la ricerca di una migliore giustificazione della metafora, perludono da vicino alla trattatistica barocco - moderata sulle acuttezze che caratterizzerà la critica italiana di metà secolo. 

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