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Barocco. La coscienza del distacco dal passato

Critica e trattatistica del barocco

La coscienza del distacco dal passato



Le discussioni letterarie secentesche sono di solito caratterizzate da un'esasperata consapevolezza dell'importanza del contrasto presente - passato, da una risentita attenzione alla diversità della letteratura <<moderna>> rispetto alla tradizione, da una costante presenza di problematica di gusto attuale entrò ogni attività critica, presenza che è si fenomeno di tutti i tempi, ma che di rado si manifesta non così deliberata vistosità come nell'età barocca. 


Queste caratteristiche trovano il loro principale fondamento, nelle polemiche suscitate  dall'opera dei maggiori scrittori dell'ultima generazione cinquecentesca: nell'energica apologia guariniana del Pastor fido per esempio, e soprattutto nella grande disputa tra difensori della tradizione rinascimentale e innovatori, e da un lato aiuta la presa di coscienza della funzione polemica ormai spettante nella cultura fiorentina (e porta alla preparazione del vocabolario della Crusca a uno strumento cioè di conservazione lunguistica e culturale, concepito però in forme tutt'altro che atiquate, in un grosso lavoro filologico, ben rappresentativo del ruolo della cultura toscana in questa età: di reazione al barocco nascente ma di apertura, non solo nella grande opera di Galileo e degli scienziati veri, ma persino in campo grammaticale e linguistico, a una volontà di rigore scientifico) e che, sull'altro fronte, sfocia con Paolo Beni in posizioni (l'esaltazione del Tasso, sull'Ariosto, anche su tutti i poeti epici del passato, su Virgilio, su Omero) che sono affondate entro la più tipica discussione secentesca sul primato dell'età moderna. 
Ai primi del secolo agli stimoli delle polemiche guariniane e tassiane se ne aggiungono altri, - quella chiabreresca, quella mariiniana - di ben più netto stacco della tradizione rinascimentale petrarchistica. Il Chabrera e il Marino programmaticamente sottolinenano la loro funzione di scopritori di nuove vie, il loro impegno di essere <<moderni>>. Il Chiabrera, difende sì alcuni miti umanistici (quello della virtù eroica, della gloria, dell'immoralità attraverso la poesia, in particolare contrasto con la svalutazione dei valori mondani e la loro riduzione ad alterigia e a lusso di tanta letteratura controriformistica) ma ne rigetta apertamente altri (il mito dell'amor filosofico - petrarchistico in favore di una rimeria galante più adatta a rispecchiare <<quelle lusinghe, quelle tenerezze, le quali ogni donna e ogni uomo sa esprimere e quando sono espresse le intende agevolmente>>) e proclama con energia la sua aspirazione alla novità (egli vuole come Colombo scoprir <<nuove terre o affogare>>) o addirittura giustifica alcune sue esercitazioni minori, ma come offerte a una discussione <<moderna>> sulle vie nuove e possibili alla poesia (<<e ciò fece>>, scriverà nella vita, <<non con intendimento di mettere insieme tragedie e egloghe, ma per dare a giudicare i suoi pensamenti. Similmente nè poemi narrativi, vedendo che era questione intorno alla favola e intorno al verseggiare, egli si travaglia di dare esempio a giudicare>>). Quanto al Marino, tutta l'opera sua è concepita in una gara continua con la letteratura precedente, intorno alla esemplificazione di vie nuove che essa offre, è organizzata una precisa azione di propaganda pratica che sostenga la supremazia del poeta napoletano sulla tradizione, e vengono, pubblicate così le lettere dei suoi più autorevoli seguaci, del Preti e dell'Achillini, viene difesa puntigliosamente la priorità di alcune sue invenzioni e viene insistentemente ribadita la sua corrispondenze alle richieste della nuova civiltà lettteraria, più raffinata ed esigente di quella d'un tempo. 


La coscienza di una diversità della letteratura moderna è propria non soltanto dei fautori delle innovazioni degli apologeti delle nuove sperimentazioni letterarie, ma distingue anche gli oppositori, i nemici del barocco, i quali avvertono nettamente il nuovo corso, da essi disapprovato, che hanno preso le lettere italiane.


I critici moralisti del primo Seicento non svolgono la loro polemica contro la lascivia e la frivolità della nuova poesia su linee generali, ma la legano invece a una rezione precisa ad una decadenza morale che sembra loro caratterizzare, l'età presente più di ogni altra età: il gesuita Famiano Strada afferma così l'invincibilità tra un fiine di bene e la poesia per opporsi al dilagare della lascivia che ha fatto sì che i poeti godano ora mala fama, appaiano ora indissolubilmente legati ad un peccaminoso erotismo; mentre il Campanella lamenta uno scadimento di valori per colpa dei poeti che ora cantano <<finti eroi, infami ardor, bugie, sciocchezze>>. Contrapponendo la corruzione contemporanea alla moralità della <<prisca etate>>, quando la poesia celebrava <<le viertù, gli arcani e le grandezze di Dio>>. Anche nel campo d'un'opposizione la nuova poesia, ci presenta lo stesso risentito  riferimento alle caratteristiche particolari dell'età moderna: proprio il più accanito oppositore del Marino, Tommaso stigliani, concluderà la sua lunga polemica riconoscendo, in una nota ed eccellente lettera, che l'età moderna è costituzionalmente avversa a chi come lui, è fedele all'antico buon gusto, riconoscendo in qualche modo lo stesso fenomeno che i marinisti esaltano, riconoscendo cioè un mutamento, per ora irreversibile, della moda di fronte al quale gli antibarocchi non possono che accettare la loro sconfitta, salvo ottenere una rivincita nell'<<età futura>>; e di questo mutamento cercando spiegazioni non solo puramente letterarie ma anche di una più generale situazione culturale (la diffusione della stampa che ha stimolato una folle gara ad effetti sempre più vistosi, il frazionamento che ne è derivato nell'ambiente letterario italiano in chiuse cerchie provinciali).
L'attenzione risentitissima al divario tra presente e passato è anzi un tema nei primi anni del Seicento in qualche modo indipendente da un preciso schieramento contro le novità: non assistiamo a una netta contrapposizione tra amanti del presente da un lato e laudatores temporis alti dall'altro; assistiamo a un gioco molto più intrecciato di riferimenti, costante è la coscienza delle particolari qualità dell'età moderna (siano esse giudicate negative o positive) e differenti sono poi le conseguenze, le scelte di gusto che di volta in volta se ne traggono. 
Anche fuori il caso più importante, quello della cultura scientifica toscana, galileiana, ribelle dell'Autirità di Aristotile e fedele in campo letterario alla treìadizione, l'intreccio di varie posizioni è altrove evidente; il classicista Chiabrera per esempio, e poi teso a superare il petrarchismo rinascimentale, a trovare <<nuovo mondo o affogare>>; uno dei più vivaci critici secenteschi, il Villani, è in polemica con il marinismo ma è insieme apertamente criticonei riguardi della poesia italiana del passato, ed è fautore di novità linguistiche; mentre nel campo opposto dei marinisti, non è rara la polemica antitradizionale in nome dell'autorità di Aristotile, e in alcuni seguaci del poeta dell'Adone affiorano anche posizioni di culto del passato sul presente: il preti è un difensore del primato degli antichi sui moderni e il Bruni giustifica la sua scelta per lo stiile <<venusto>>, per le forme barocche cioè, nella convinzione che il Seicento non riuscirà a superare le grandi vette raggiunte dalla poesia Cinquecentesca, del Tasso e dell'Ariosto e che quindi deve accontentarsi di spigolare una sua orginalità, in un marinismo che si fonda proprio sul rifiuto della tesi del primato dei moderni, che generalmente è la tesi prediletta dagli innovatori. La contrapposizione presente - passato ci appare come uno sfondo comune di tutta una cultura semza che le differenze di scelte entro questa contrapposizione possano da sole servire a sistemare il quadro dei conflitti di gusto. Non è fenomeno che indica a sminuire l'importanza di quello sfondo comune: la non perfetta coincidenza tra giudizio sul presente e scelta di gusto rivela anzi come la eccezionale attenzione alle particolari esigenze del secolo non sia solo un argomento per difendersi o per opporsi ad una particolare poetica, dipenda nel suo puntiglioso manifestarsi in parte sì dall'enfasi con cui le polemiche sul nuovo stile sono vissute ma risalga a un mutato ruolo della poesia entro una mutata civiltà, a una più generale situazione che quelle polemiche evidenziano ma che per certi aspetti ad esse preesiste e con esse non totalmente combacia. E' un fenomeno che la cultura romantica ha indicato quando alla spiegazione del barocco solo letteraria, prevalente in clima arcadico - settecentesco, ha sostituito motivazioni di tipo politico - morale (la perdita dell'indipendenza nazionale sotto il peso del predominio spagnolo, la perdita della libertà morale del Rinascimento sotto il peso della Controriforma), vedendo tra le due età una evoluzione non solo di gusto ma di civiltà, e che la critica novecentesca, riconferma, illustrando accanto a fatti più propriamente letterari altri, di mutamento di orizzonti culturali, di scoperta della piccolezza dell'uomo di fronte all'universo di apertura a nuove cangianti realtà, parlando di <<anima di barocco>>, di visione del mondo barocca. E davvero l'Italia in cui operano gli scrittori di primo Seicento è grandemente mutata da quella del Rinascimento. 
Sono mutati i centri culturali. Con l'eccezione della Toscana, dove si è formato uno stato assoluto regionale molto saldo e mooderno, le corti italiane, hanno perso la loro autonomia: o sono, assurta ora a grande prestigio, travolte in pieno nel grande vortice delle guerre europee, come le corti dei ducati padani, sono prigioniere di ambito molto anngusto, senza la vitalità e l'iniziativa del primo cinquecento; la stessa curia romana, è nel prevalere di preoccupazioni religiose controriformistiche, molto più condizionata di un tempo, è sempre meno una autonoma corte italiana e sempre più un grande centro burocratico del cattolicesimo mondiale. 
Mutata è in secondo luogo la struttura sociale del paese: una lunga crisi economica che ha lontane origini (apertura delle vie atlantiche rottura con l'Oriente turco, degradata quindi posizione geografica dell'Italia, crisi monetaria legata all'oro americano ecc.) ha bruciato le classi intermedie, artigiani, piccoli mercanti si sono fortemente impoveriti e tutto il popolo si è venuto livellando in una comune condizione di plebe; i grandi capialisti della vecchia Italia mercantile, di fronte al restringersi delle possibilità commericiali, hanno investito i loro capitali in terre e diritti feudali. La nobiltà. favorita oltretutto nell'Italia spagnola dalla lontananzza dei centri del potere politico, ha acquistato nuovo vigore. E' un vigore che si regge sul privilegio soltanto, tanto più efficace quanto più concentrato in poche mani e quanto più difeso da una accanita politica di omertà e di prestigio. Di quì entro la nobiltà la tendenza a tener uniti i patimoni (maggiorasco, ecc.), a rinforzare anche illegalmente il privilegio (bravi), a reclamizzare la propria potenza (puntiglio d'onore, etichetta), a compensare chi, dal potere resta fuori sia attraverso reali benefici (l'omertà che copre famigliari e servitori del potente, o anche le grandi elemosine della plebe o le elargizioni degli organismi essclesiastici, conventi ecc., che accolgono figlie e figli sacrificati al primogenito) sia attraverso riflessi esterni del potere stesso (il lusso della casa nobiliare, di cui gode anche chi il reale potere non possiede, ma pur in essa, cadetto o servo bravo, vive e che la plebe ammira e di cui spesso si diverte e s'esalta; ed il tema del lusso amato o depredato sarà sempre al centro della fantasia dei poeti barocchi).
Una situazione che porta in se i germi del suo disfacimento, ma che nei primi anni del secolo mantiene una sua vitalità; la classe nobiliare italiana rivela anzi in quegli anni un impeto aggressivo nuovo rispetto al Cinquecento, sia nella direzione anarchico - mafiosa che è così connaturata al sistema, sia anche in un più disinteressato slancio di sontuosità e avventura, in un singolare intreccio di conseguenze economiche ed ambizioni cavalleresche. 
Il mutamento sociale si ripercuote nella diversa configurazione del pubblico cui ora si indirizza la letteratura italiana. 
La sparizione delle classi medie ha infranto la serie di organismi che nella costruzione gerarchica della vecchia Italia dalla corporazione artigiana risalivano di continuità alla corte del Signore. L'effetto è stato duplice: da un lato si sono svigorite alcune tradizioni, si è appiattita la vetta culturale limitata alla sola sfera della classe dirigente nobiliare ed ecclesiastica, con possibilità di recupero di spiriti popolari solo a livello di calco di modi plebei; d'altro lato è venuta anche una spinta animatrice: la letteratura italiana ha ora un pubblico più omogeneo: la nobiltà capitalistico - feudale, staccata da precise strutture locali che ha costumanze, poteri e ideali un pò analoghi in tutta Italia; da questa omogeneità l'attività editoriale sorta da poco più d'un secolo acquista nuovo incentivo e alle possibilità del prestigio del letterato - legate soprattutto al mecenatismo di una corte principesca - se ne aggiungono ora altre legate al successo di vendita dei libri. 
L'ideale di potenza terrena, di gloria acquistata nelle virtù politiche è posto in crisi. Da una parte non ci sono possibilità di reale grande politica in una Italia sottomessa agli spagnoli, mentre invece è una parvenza di fronte: all'aldilà una parvenza che i rigoristi condannano, cui i più aperti guardano anche con indulgenza. Priva di un morale significato, la gloria terrena tende perciò a somigliare sempre più a un fatto esterno, di apparenza e non di sostanza, fiinisce con coincidere così con il fasto con il lusso che come si è visto è pre altre ragioni uno degli aspetti tipici del sistema neofeudale. 
L'amor cortese - platonico di derivazione petrarchistica non trova più corrispondenza in una organica civiltà cittadino - cortigiana cui si è sostituito un mondo di nobiltà autonoma dalla corte, più rozza e aggressiva; né il nuovo clima religioso favorisce un riconoscimento  della dignità morale dell'amore. 
L'amore alto diventa un sentimento incredibile, buono solo per porre una nota meravigliosa entro certe costruzioni letterarie romanzesche. Per il resto, l'amore non è più quelloche illustrano i poeti di una lunga tradizione cortese, è quello che dipingono i predicatori della Controriforma: lascivia, voluttà, peccato. Dovrebbe essere perciò condannato unanimamente. Nel tipico impasto di indulgenza e moralismo su cui si articola il mondo italiano secentesco, non è poi così. L'amore ridotto a lascivia è spesso vagheggiato invece che respinto. Se lo si vuole nobilitare lo si fa dal di fuori, non correggendone la lascivia, ma rendendola più gradevole, più socialmente accettabile attraverso la piccola galanteria (Chiabrera) o attraverso l'arroganza (Marino): non amore spirituale ma lascivia spiritosa. Le tradizionali metafore del linguaggio amoroso, sono aggiunte a posteriiori di carattere ingegnoso. Si ha cioè sempre esasperata coscienza della realtà diversa a cui nella metafora si è accostata la donna. Si cerca di annullare, in una zona più vicina ai miti rinascimentali, il distacco tra i due termini della metafora con invenzioni patetico - romanzesche che sceneggiano, drammatizzano la metafora, oppure nel barocco estremista, ci si compiace della stranezza dell'accostamento rendendolo volutamente più incredibile od anche, (barocco moderato) si cercano paragoni acconci, calzanti ma attraverso un controllo intellettualistico. Le conseguenze della caduta dei grandi miti di cui la poesia del passato si era fatta portatrice, sono duplici, d'apertura da un lato, d'impoverimento dall'altro. 
I poeti non debbono più operare una selezione nellla realtà peradeguarla ai rigidi schemi che a quelle convenzioni corrispondono: i generi possono fondersi, anche il più bizzarro, tanto tutto il mondo in una visione coerente agli impegni - moralistici più severi è un inganno, quel che conta è soltanto il trascendente di cui è depositaria, e depositaria gelosa, la Chiesa. Ne deriva anche una nuova angustia; la funzione sociale della poesia, di educazione ad altri sentimenti è venuta meno; a quei sentimenti non si crede più; quando li si vagheggiano come certi romanzi lo si fa nella convinzione della loro irreaòtà, come gioco socievole di evasione. Il poeta è esclusivamente volto al diletto del suo pubblico, se un programma morale il poeta si propone, se un compito politco si addossa, questo è tutto immediato, di puntuale edificazione, di precisa propaganda politica (non di celebrzioni di ideali: gli ideali della Chiesa sono un fatto suo esclusivo, il clericalismo cattolico diffida di interventi troppo penetranti nel mondo della religione, preferisce una devozione spicciola più sicura dai rischi di eresie; gli ideali politici sono in crisi: la politica coincide con la religione, o è soltanto gretta ragion di Stato senz'alcun valore ideale).
Diminuisce il peso idele del poeta, ma aumenta il suo senso pratico. Paradossalmente la poesia conta meno, ma il poeta conta di più. Si mescola più intimamente al potere della classe dirigente (cui fornisce strumenti di diletto o di edificazione di pronta utilizzazione), della classe dirigente neofeudale rivive gli umori aggressivi, il gusto dello sfarzo, l'orgoglio risentitissimo. 
Anche quì è un singolare innesto di autentico progresso e di moda legata a un mondo solitamente inevoluto. Nell'esasperazione con cui il prestigio del poeta come inventore di nuove tecniche espressive è sentito dai barocchi, c'è infatti sia l'eco della reale nuova importanza  dell'intellettuale nell'invenzione di nuove tecniche e di nuovi strumenti di conoscenza sia il virtuosismo di chi ha da conquistare un pubblico, sia infine il riflesso dei modi della nobiltà capitalstico feudale in un'assimilazione di costumi rissosi e mafiosi della classe dirigente italiana che fornisce nuovi alimenti all'amoreper la polemica pungente ereditata dall'Umanesimo e addirittura conduce al ricatto e alla violenza.
E' un fenomeno che già ha caratterizzato il secondo Cinquecento. La discussione di poetica incide sulle sorti del gusto non solo per le idee che propone ma anche per la réclame che crea intorno a certi poeti o a certi letterari, non solo come educatrice di sensibilità, chiarificatrice di contrasti di gusto, ma come suscitatrice di mode, aiuto non solo culturale ma pratico all'affermazione letteraria. 
Di qui la tendenza dell'esercizio critico o precettistico a diventare esso stesso autonoma attività letteraria, di ricercare la piacevolezza, il brio dell'esposizione, l'incontro più facile con il pubblico in un compiacimento ben secentistico  nall'arguzia che fa talvolta d'alcune discussioni critiche secentesche delle esemplificazioni complete, non solo per le tesi che vi si sostengono ma per lo stile con cui le idee sono sostenute, della letteratura barocca.

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